Elezione Papa Leone XIV, Basilio Gavazzeni: Un Papa “altro” per giorni leonini. Di seguito la nota integrale.
Assisto come tutti allo spettacolo di papa Leone XIV che si presenta alla loggia di San Pietro. Mi accosto al televisore per studiarne meglio la figura che arriva alzando un braccio in saluto.
Alla ripresa televisiva, ovviamente, non sfugge particolare, lavorando con il primo piano che, secondo un teorico del cinema, rende visibile il volto invisibile dell’anima. È ancora sorpreso e scosso dalla inaspettata elezione. Si vede che regge con tutte le forze. Mentre accoglie la festa che sale dalla piazza, deglutisce ripetutamente. L’occhio destro, colto per un istante, appare smarrito.
La faccia a momenti richiama quella di Giovanni Paolo II. Ne ha la mascella forte e il mento volitivo soprattutto se alza il capo. La voce attacca con una impennata woytiliana.
Giunge la parola regina: Pace, il primo annuncio di Cristo risorto, precisata dagli aggettivi disarmata, disarmante, umile e perseverante. Non gli riesce di pronunciare con correttezza l’avverbio treno incondizionatamente.
Altra parola è tutti, ribattuta con una volontà di abbraccio planetario. Colpisce anche ponti, egualmente ripetuta, ponti da costruire insieme. Unità e dialogo sono apparentati.
C’è un grazie e una richiesta di collaborazione sinodale ai Cardinali che l’hanno scelto in 4 sedute. L’attenzione è alla Chiesa ad intra e ad extra. Richiamata con forza la missionarietà. Proclama che il male non vincerà. Ritorna più volte anche la parola Dio.
Lo speciale saluto rivolto ai romani di cui ora è vescovo fa esplodere gli applausi della piazza. Commuove quando, in spagnolo, rivolge il saluto alla Diocesi peruviana a lungo affidata al suo episcopato missionario.
Acutissima e precipite la commozione che gli sorge fra le arcate sopraccigliari all’attaccatura del naso, dopo aver dichiarato di provenire dai figli di sant’Agostino e di voler essere cristiano con noi. È la festa della Madonna di Pompei: conclude coerentemente invitando la piazza a dire un’Ave Maria e passa alla benedizione Urbi et Orbi impreziosita dalla concessione dell’indulgenza plenaria.
Resta un momento a lasciarsi godere da tanta piazza e a goderne. Forse è un po’ raffreddato o non dispone di fazzoletto, perché tira su con il naso almeno tre volte. Sembra sorreggersi stringendo fortemente le sue stesse mani. Ecco si ritira.
Leone XIV ha 69 anni. È statunitense e, insieme, peruviano. Il cognome Prevost è di conio francese: ricorda il famoso autore del dramma Manon Lescaut tradotta in musica lirica da Giacomo Puccini. È inevitabile collegare il suo nome a Leone XIII, padre della dottrina sociale della Chiesa, con la De rerum novarum (1891). Pochi ricordano che il nome è stato reso glorioso da Leone Magno che, tra le altre cose, nel 452, fermò presso il fiume Mincio l’imperatore unno Attila che puntava su Roma.
Seguo per ore le trasmissioni televisive, saltabeccando di canale in canale. Opinionisti e giornalisti che si sono trattenuti fin troppo davanti al Papa defunto osannato dalle folle, già infieriscono addossando al nuovo Papa tutti i problemi della Chiesa e della geopolitica.
A notte tarda mi ritiro recitando per lui un’Ave Maria. Il Papa c’è: mi basta un Papa altro per giorni che saranno leonini. Come a Pietro, Cristo gli riempirà la rete di uomini e le falegnamerie del mondo gli appronteranno, come a Pietro, una croce adeguata.