Basilio Gavazzeni (Fondazione Lucana Antiusura Monsignor Cavalla): “La voce buia del debito”. Di seguito la nota integrale.
A forza di occuparmi di debiti qualche volta ho l’impressione di non sapere più cosa sia un debito, ma basta la visita fuori tempo di una vittima per ricordarmene il triste giogo.
Sabato, dopo la mattinata rigorosamente papacentrica, nel tardo pomeriggio sto gustando la superba interpretazione di Al Pacino in Profumo di donna (Scent of a Woman) quando da sottocasa, al citofono, una signora chiede di essere ascoltata. La faccio accomodare.
Dieci giorni fa, nella sede della Fondazione antiusura, è riuscita a strappare una mezza promessa di soccorso, fermo restando che, con l’aiuto della Segreteria, si dovrà prima districare l’intera rete debitoria da cui è avviluppata, per vedere se una maglia rotta le offra una via di fuga.
Stringe in mano una carta d’ingiunzione. È angosciata che lunedì l’Ente creditore le possa staccare la luce. Per un’ora e più soppesiamo il problema da un punto di vista sia pratico sia metafisico.
C’entra la metafisica perché un debito, quando dietro preme una canea della stessa specie, apre il varco a pensieri di suicidio. Evoca l’Oltre, poi, se appare così irredimibile che non sarebbe sufficiente un’altra vita per riscattarsene. Resistendo alla concitazione delle sue parole insufflate dall’ansia, ripeto alla visitatrice che purtroppo non tutti i problemi sono risolvibili sulla terra.
Da un punto di vista pratico le faccio osservare che, essendo sabato, non ho nessuna possibilità di aiutarla. La Fondazione riapre lunedì. Quanto a me, per dirla con Catullo, plenus sacculus est aranearum: non tengo un euro, perché se la sua pensione è di circa euro 600 e qualcosa, la mia la supera di soli 100 euro.
È noto che da sempre caldeggio la necessità di corrispondere seduta stante all’invocazione di chi è nel bisogno. L’interventismo affrettato può precipitare nell’errore. È un obbligo etico e legale per me scansare il più possibile l’errore, ma quando si soccorre è preferibile sbagliare nella fretta di essere tempestivi che nella procrastinazione del discernimento prudenziale.
Non so, tuttavia, cosa fare per la postulante che, alla fine, davanti alla mia effettiva impotenza, si rassegna. So come funzionano le ingiunzioni come quella che la terrorizza. La rassicuro: lunedì nessuno le staccherà la luce e la Fondazione vedrà di ascoltarla con la dovuta urgenza.
Prima di congedarla le impongo di benedirmi – le suggerisco le parole che deve pronunciare – perché appunto lunedì il Signore dia una dritta a me e al mio comitato tecnico per trovarle una soluzione secondo legalità.
Una donna di settantacinque anni, ordinata nella persona – orgogliosa e felice che l’ho rilevato – sventurata dalla giovinezza, figlie che adora e che la trascurano come quelle del balzachiano Papà Goriot, nella sua stremata condizione è venuta a turbare il mio buen retiro. Ha ridisceso le scale, levando il volto, a chi?, smarrita, con gli occhi deserti di speranza, le labbra secche ed esangui.
Ecco come raggiunge la buia voce dei debiti e inchioda alla croce l’inane pietà.
Ecco cos’è il debito a Matera nell’anno di grazia giubilare 2025.
Post scriptum: in effetti, martedì 29 aprile, la Fondazione, dopo paziente analisi, alla signora in confusione ha coperto rate pregresse di luce e gas per euro 510,14. Circa i tre debiti tutto sommato modesti, verso due classiche Società Finanziarie, la Fondazione ha costatato che, restituendo, la povera donna sarebbe ridotta a campare con 200 euro mensili. È un dovere onorare i debiti ma, in questo caso, la Fondazione si chiede se non decada, tenuto conto che le due Società creditrici incautamente hanno concesso prestiti a persona senza entrata proporzionata.