Espedito Moliterni (PD): la Sanità a Matera ai tempi delle elezioni comunali. Di seguito la nota integrale.
Anche questa mattina ci siamo. Apro la serranda della finestra che si affaccia sulla piazza, osservo compiaciuto che è una bella giornata; il sole del primo mattino si insinua dal basso ai lati della chiesa che ancora lo nasconde e si adagia dolcemente sugli scalini del sagrato per poi conquistare i lastroni della piazza principale.
Senza alcun indugio, apro la finestra; l’aria pulita e fresca che proviene dalla piazza libera da veicoli sbuffanti si insinua nelle narici che volentieri si aprono ai leggeri effluvi del venticello mattutino; le voci dei passanti, i brontolii provenienti dall’apertura delle serrande dei pochi negozi di prossimità che ancora resistono alla globalizzazione del commercio si confondono con il garrito di stormi di rondini nelle loro evoluzioni acrobatiche.
Lascio la finestra aperta e rientro nella stanza adibita a soggiorno con affaccio sulla piazza; abito in una casa popolare di un quartiere nato a seguito della legge sul risanamento dei Sassi, ereditata dai miei genitori, una volta riscattata; è ormai diventata troppo grande per me, ma non potrei mai rinunciare ai suoni abituali e confortanti che al mattino mi giungono dal quartiere al suo risveglio. Qui sono cresciuto e qui terminerò il mio percorso.
Ho 82 anni, vivo da solo, vedovo, i miei tre figli lontani. In occasione dei miei 80 anni mi hanno regalato il telefonino; lo utilizzo essenzialmente per telefonare ma addirittura sono in grado di aprire i messaggi che arrivano con “wot zapp”; i miei nipoti mi hanno insegnato il tutto.
Ho alcuni acciacchi per i quali mi curo, ma negli ultimi mesi ho notato un peggioramento dei sintomi; il mio medico curante mi ha prescritto una visita dallo specialista al quale mi sono sempre rivolto. Mi fido di lui, ho il numero di telefono del suo ambulatorio in ospedale e loro sono in possesso di tutti i miei dati e i miei recapiti.
Per alcune settimane ho cercato di mettermi in contatto con lo specialista, ma inutilmente. In piazza mi dicono che conviene andare al “cup”. Decido quindi di recarmi in ospedale. Da via Dante passano i bus urbani e, con un solo cambio di mezzo, si può arrivare in ospedale.
Non ho più la macchina, non guido da tempo; con una pensione minima non posso permettermi questi lussi e, poi, non ho più l‘età per queste cose, sono una persona responsabile.
Arrivo in ospedale. Quanta gente, tanta; molti camminano a passo svelto, si incrociano, si scansano, si scrutano per qualche secondo senza mai scambiarsi un cenno, una parola, sembra che nessuno si conosca in questa città; altri, seduti su delle panche, si affrettano ad addentare un panino o la mela, si guardano intorno, intimoriti, forse si sentono addosso gli sguardi di quelli che corrono; è pieno l’atrio dell’ospedale.
Io non so dove andare, mi guardo intorno e decido di interrompere la colazione di quelli seduti per avere qualche informazione su quale direzione prendere; mi indicano una signora seduta dietro un bancone enorme, protetta da un ampia vetrata, respira grazie ad un piccolo rettangolo che la riconnette al mondo; le spiego che devo prenotare una visita; senza alzare lo sguardo, alza il braccio sinistro e mi invita ad andare in quella stessa direzione dove troverò un corridoio che mi condurrà agli sportelli della prenotazione.
Seguo le indicazioni della donna e presto mi imbatto contro una vera e propria barriera umana; l’aria è irrespirabile, il caldo malato è insopportabile, dal soffitto penzolano delle lavagne luminose che continuamente, anche se a ritmi piuttosto blandi, propongono numeri rossi in successione, tutti i presenti sguainano una prescrizione simile alla mia e un piccolo biglietto con il numerino; capisco che devo recuperare anch’io quel bigliettino per poi accedere allo sportello. Dopo circa mezzo chilo di “ mi scusi”e “ abbia pazienza”, riesco a conquistare la meta e stringo finalmente nel pugno il mio numerino.
Dopo circa due ore, dedicate a cercare una postazione che mi consentisse di appoggiare almeno la schiena, raggiungo finalmente la meta. La solita vetrata, sempre con un piccolo rettangolo ma, questa volta, riesco ad individuare il colore degli occhi della signorina che, sorridente, mi chiede il motivo della mia presenza.
Passo prescrizione e numerino, lei smanetta la tastiera collegata ad un televisore in miniatura, si ferma, indugia, di nuovo smanetta, indugia, attende qualcosa, non succede nulla di nuovo; quindi mi porge la prescrizione, si avvicina al rettangolo. Mentre mi guarda negli occhi con un espressione che non può richiedere null’altro se non indulgenza, mi annuncia che la visita sarebbe possibile in un giorno del febbraio 2026; mi aggiunge che, per avere qualche possibilità di anticipare la visita, mi conviene tornare in quel luogo, la mattina alle prime luci del giorno e sperare che, nel caso qualcuno rinunci, si renda disponibile un posto; mi suggerisce che è inutile provare nelle ore successive.
Ogni mattina per tentare la fortuna? Ma è assurdo! Proferisco queste parole mentre rivolgo le spalle alla signorina e mi avvio per guadagnare l’uscita da quell’inferno, ma subito mi impatto contro la barriera umana in coda che, consapevole ed avvezza a quanto mi era capitato, mi suggerisce: “ prova con strutture convenzionate fuori Matera!”; altri ancora:“ ma che dite?, è terminato il bad – get e accettano solo pazienti a pagamento, può provare con l’intramenia”, aggiungono, “ma costa in media 150 euro la visita”; ed io: “ ma dove vado a prendere questi soldi!?”.
Un cerchio di fuoco mi cinge la testa, mi risuona crudele il termine bad – get, ma non ho voglia di capire o chiedere, credo di aver intuito e ciò mi basta. Guadagno l’uscita e torno a casa.
Il medico curante mi suggerisce di richiamare l’ambulatorio, di riprovare in ospedale, ma decido di godermi questi primi giorni di primavera a casa mia; il mio quartiere è troppo bello in questo periodo, non intendo tornare in quel girone infernale. Troverò un modo per riuscire ad avere una consulenza specialistica.
Una mattina, mentre mi accingo a godermi il primo sole, avverto distintamente il segnalino che annuncia un messaggio “wot zapp”. Per fortuna, i nipoti mi hanno insegnato qualcosa circa il suo utilizzo. Non sono frequenti questi messaggi. Cingo il telefonino, curioso di conoscere il motivo di quel messaggio; spero in buone notizie da parte della famiglia. Ma è non un numero memorizzato; quindi premo dove i nipoti mi hanno indicato e, grande sorpresa, mi compare il faccione sorridente del medico specialista ospedaliero che mi ha in cura. Vuoi vedere che ha saputo che ho bisogno di lui e mi ha contattato?
Come mi hanno insegnato i nipoti, emozionato, faccio scorrere il messaggio e mi imbatto in un fac simile di scheda elettorale che mi indica di apporre una croce sul simbolo di un partito e di scrivere di fianco il suo cognome. Incredulo ma ancora con qualche residua fievole speranza di trovare una convocazione per una visita, faccio scorrere ancora il messaggio ma trovo scritto solo questa frase: “ Per una sanità più efficiente e più vicina alle persone deboli, al Comune vota …
Era da un po’ di tempo che non mi recavo alle urne, come tanti, ma decido che ci andrò, sicuro! Ma non seguirò le indicazioni del medico. Ho dignità da vendere e senso civico. Anzi, da oggi, nella piazza del quartiere, ne parlo con i miei amici e vicini.
Sarà un caso, ma mi sento meglio. Gli acciacchi sono quasi del tutto spariti.