Basilio Gavazzeni: il diario di Luglio 2025. Di seguito la nota integrale.
Con il nuovo Arcivescovo
Ancora memori di Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, ecco il nuovo Arcivescovo: Mons. Ambarus Benoni. Se il nostro Arcivescovo deve ricordare le famose parole di sant’Agostino: Se mi atterrisce l’essere per voi, mi consola l’essere con voi. Perché per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di un dovere, questo di una grazia; quello di pericolo, questo di salvezze (Agostino, s., Serm.340,1: PL 38, 1483, citato anche il Lumen gentium, n.32), il popolo di Dio di Matera Irsina Tricarico deve ricordare che in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt. 28,19).
Affascinati da tale modello (Gesù), vogliamo inserirci a fondo nella società, condividiamo la vita con tutti […], viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo […]. È bello essere popolo fedele di Dio (Evangelii gaudium, nn.269; 270; 274).
Il ruolo di Saverio Acito in Comune
Scansato il ruolo di Vice-Sindaco, in sostanza un puro gaigne-pain, toccato ad altri per stolta e irrisa designazione, in seno al Consiglio comunale Saverio Acito si trova senza nessun incarico, quisque de populo. Che fortuna! Sia benedetto Dio! È una posizione regale. Libero da ogni subalternità se non alla coscienza e alle regole giuste della democrazia. Capace com’è di dialogo dialogante, intendo non monologante, sarà autorevole e prezioso anche per gli oppositori intelligenti.
Alcuni giorni fa leggevo nel libro veterotestamentario di Amos che il Signore Dio, sdegnato contro Israele, dice al profeta: Io pongo un piombino in mezzo al mio popolo. Da fanciullo ero attratto da questo oggetto a forma di goccia rovesciata all’estremità di un filo cui ricorrono i carpentieri per tirar su diritti i muri. Per professione Saverio Acito il piombino ce l’ha nell’occhio. L’ho costatato. Lo applichi alla cosa pubblica.
Immarcescibile lo definisce Franco Vespe. Che si vuole? È tutta la vita che studia cosa fare da grande. Ama di amore non retorico la città. Ne conosce le possibilità e i bisogni che legge da una prospettiva prima sapienziale e poi tecnica. È un cattolico non anonimo e senza la testa fasciata. Con un mestiere onesto e apprezzato ha guadagnato il necessario per sé e i suoi egualmente laboriosi. Non è in Comune per sbarcare il lunario dopo un vissuto di fainéant.
Lunga vita a Saverio Acito per il bene di Matera.
Ottant’anni
Il 7 luglio, senza nessuna festa, ho compiuto ottant’anni, di cui quarantotto trascorsi a Matera, senza scapolare pressoché mai. Riconoscenza a Dio, ai miei genitori e alla città adottiva. Medito due pensieri: Si hanno sessant’anni per vent’anni e poi all’improvviso se ne hanno ottanta (André Gide); Ottant’anni sono un tempo lungo. Ma per ognuno il tempo della vita che gli è concesso è il breve istante in cui diventa ciò che deve essere (Karl Rahner).
Chirurgia plastica
Il rotondo compleanno e il Battesimo che ho ricevuto lo stesso giorno li celebro nella stanza 6 del secondo piano nel blocco A dell’Ospedale di Matera. L’8 luglio, alle 8,50, sono il primo a sottoporre la carne per una riparazione ai ferri dei chirurghi plastici Volpe Angela e Losco Luigi Nino. Ha chiesto di assistere il dottor Silvio Nicoletti. Mi abbandono perinde ac cadaver, per dirla con il lessico dei gesuiti. Lievi le trafitture che mi assicurano l’anestesia locale. Mi asportano un carcinoma del cuoio capelluto e stoppano il buco con un innesto dermoepidermico. Con la testa girata a sinistra osservo i materiali e il servizio della ferrista. Sono divertito dalle prorompenti battute del dottor Losco. Un’ora dopo sono in stanza. L’Ospedale mi trattiene un altro giorno. Oggi, 10, ore 11.00, sono qui in ufficio che scrivo. Ringrazio i chirurghi e le collaboratrici della sala operatoria, infermiere, OSS, tirocinanti, hostess, addette al servizio mensa e operatrici pulitrici.
Difendere la qualità dell’Ospedale
Secondo me nell’Ospedale si spende la meglio umanità del territorio. E allora perché si consente che una leggenda nera aduggi la nostra massima realtà sanitaria. Senza dubbio un’unica sala operatoria è un limite; il personale in affanno deve essere incrementato di numero; è necessario provvedere agli ascensori impraticabili, alle porte scardinate, ai gabinetti indecenti e ad altre manutenzioni. Assolutamente devono scomparire le file inguardabili alle Casse. Si chieda all’IA di suggerire il come. Mancano le risorse? Le drena la sorellastra città-regione? Una voce profonda dell’Ospedale mi garantisce che i soldi ci sono. Bisogna amministrarli bene ed evitare sprechi.
Il mio compagno di stanza
Come lui ho atteso che mi assegnassero la stanza. Con lui l’ho condivisa tre giorni e tre notti. Lui è Porcari Eustachio, un solido novantaquattrenne, occhi cerulei che fanno invidia, terza elementare, agricoltore. Non sopporterebbe di essere ritenuto uno zappatore. Possiede trentasei ettari di terra che ora conduce il figlio parallelamente allo studio di geometra e, in quel di Serra Rifusa, una grande e bella casa a due piani e un vasto capannone dove sono ricoverate per sicurezza macchine agricole d’ogni genere. Il mio compagno è accudito dalla figlia, ragioniera, single, che si occupa anche della madre novantenne. Vedere il perfetto igienismo con il quale obbliga il padre a cambiarsi di continuo! Eustachio è un narratore che trova in me un ascoltatore interessato. E mi racconta che ha lavorato nei campi da bambino, più volte per conto terzi, ma cominciando a raggranellare la proprietà. Stupenda la prolungata esposizione dei cattivi scherzi giocatigli tre volte da una bizzosa cavalla proprio il giorno che in ghingheri e sul carro infiocchettato voleva presentarsi alla fidanzata. Ricorda con nostalgia l’intelligenza collaborativa di una mula possente. No, non mangerà mai carne di cavallo dopo averne visto la fatica nei campi. Mi spiega la differenza fra il grano da seminare e il grano ricavato dalla mietitura, come il primo costi sessanta mentre il secondo è pagato trenta. E mi confida mille altre cose. Quando ci congediamo gli bacio le mani con venerazione. Ecco un materano verace, di quelli sui quali davvero si regge la nostra comunità.