Ballottaggio Matera 2025, Basilio Gavazzeni: Vigilia piatta e febbrile, bisogna votare. Di seguito la nota integrale.
Avevo scritto altro per l’ospitalissimo Sassilive, ma la censura di un’amica che è come la coscienza me l’ha bocciato. Eccomi a riscriverlo, tenendo d’occhio anche la partita fra Inter e Paris Saint-Germain (Germen non German, come qualcuno si ostina a pronunciare perfino in TV). Si mette male per la squadra italiana. A un certo punto sullo schermo appare il primissimo piano di un interista che piange a dirotto. È il caso di piangere? La signora come la coscienza mi direbbe che nessun dolore altrui e insignificante, e io replicherei che non è giusto considerare alla pari ciò che è futile e ciò è incommensurabilmente sconvolgente; e che in Occidente si pianga per una partita di calcio che va storta, ma sulla martoriata Ucraina e i bambini uccisi e affamati di Gaza ci si limiti a discutere, e per di più strumentalmente, dimentichi della domanda del dantesco Ugolino: e se non piangi di che pianger suoli? (Inf XXXIII, 42).
Analogamente, a distanza di una settimana dal ballottaggio – questo intendo mettere a tema – vedo la gente interessarsi alle minime increspature della realtà e applicare la lente d’ingrandimento a cose di quotidiana ovvietà nella matassa incolore della vita, ma non all’appuntamento rilevante per tutti che è l’elezione di un Sindaco. Perché venir meno all’esercizio del discernimento, non cogliere l’occasione di recuperare il carisma della grandezza di esser cittadini che non pochi fra noi ignorano di avere?
Questa lontananza dal bene generale, questa povertà di visione, questa indifferenza al futuro che potrebbe essere tremendo, questo rifiuto di partecipazione, contrariando il retaggio prezioso del pensiero meridiano, costituiscono il blocco dei nostri disvalori che da decenni chiamo meridionìte – in assonanza con la carcerìte cui Antonio Gramsci si oppose con tutte le forze per salvare la sua meravigliosa testa che qualcuno aveva destinato a non pensare più.
Il risultato? La città è abbandonata a minoranze dinamiche preda di incontenibili eccitazioni nervose che ora sperano ora disperano sul responso di domenica. Tarantolati e, nel contempo, sfiniti, i più interessati sono costretti ad ammettere che la nostra popolazione, quella stessa affluita alle urne, è molto più reticente e mutevole, misteriosa e imprevedibile di quanto si possa arguire.
Scegliere un Sindaco giusto per gli uomini liberi e dotati di sinderesi non è un gioco. Sanno che gli addosseranno un compito gravoso. Non ignorano le difficoltà di governo cui sarà esposto. Il nuovo Sindaco disporrà di risorse tutt’altro che spumeggianti. Non avrà una cornucopia da riversare sulla città. Dovrà sottrarsi alla maledetta tentazione del faraonismo e, creativamente, cavare il necessario dalle realtà locali, e rispondere prima di tutto ai bisogni essenziali della città. Grande e paziente arte gli sarà richiesta per accordare, meglio, dominare il Consiglio che, tante volte, abbiamo visto infestato da grovigli di vipere, in grado di inceppare la conduzione dei migliori Sindaci. Che spettacolo sarebbe quello di un Sindaco che rintuzza gli intrighi dei portatori d’interesse, la corruzione che è l’intento di certe cricche.
Ah! poter dare spazio a un Sindaco che alla città assicuri la decenza quotidiana di cui in questa stagione abbiamo fruito anche nelle periferie, grazie alla presenza in Comune di un Commissario fattivo. Un Sindaco che, doppiato il tour-de-force del periodo elettorale, rompa con la tradizione del Sindaco aristocratico e compaia puntualmente in mezzo al popolo, non solo nelle processioni religiose che ne hanno rovinati parecchi, ma nella ferialità dei bisogni.
È il caso di portarsi sulle figure dei contendenti. L’amica, simile alla coscienza, che mi ha spinto a cestinare l’articolo già pronto, lo riteneva ingiusto perché, tracciandone i profili paralleli, secondo il metodo filosofico di Jean Guitton, cedevo a una sbrecciata parzialità, al partito preso. Ho concesso, come recita un proverbio cinese, che è più facile contare le ossa sotto il pelame di una tigre che conoscere un uomo. Ho precisato che, osservando da quarant’anni la politica locale, munito dei princìpi della Dottrina sociale della Chiesa – bene comune, sussidiarietà, solidarietà, opzione preferenziale per i poveri, dono – facendo tesoro di estemporanei incontri ravvicinati, non di frequentazioni, con persone a vario titolo impegnate in politica, posso tirare alcune conclusioni. Mi astengo, tuttavia, come promesso, dal parallelo che andava dai numeri usciti nella prima giornata e dalla loro interpretazione alla rassegna degli schieramenti di cui a nessuno è sfuggito qualche scollamento e qualche trasformismo, per passare poi a un’attenta fenomenologia dei due protagonisti. Pazienza, mi astengo.
Purtroppo non è stata offerta alla cittadinanza l’occasione di vedere i candidati confrontarsi tȇte-à-tȇte, da pari a pari fuori dai determinismi di primarie e di moltiplicate colonne di liste elettorali, misurare allo scoperto l’orgoglio appassionato di chi incondizionatamente dice di voler spendersi per la comunità ed elevarne le parti abbandonate all’umiliazione e all’avvilimento. Vi sarebbe stata la possibilità di tradurre in formule comprensibili i manifesti-programmi un po’ onirici e, forse, letti soltanto da pochi e longanimi analisti.
Intanto sotto la superficie della città, ritiratesi le reti familistiche in cui sono rimasti impigliati, i voti della prima pescata si disperdono, si ricompongono, mutano direzione, saettano autonomi. Chi li può controllare? Ribolliranno domenica convergendo con risoluta avvedutezza. Dobbiamo augurarci che si ripresenteranno tutti alle urne. Ottimo esito del ballottaggio sarebbe che vi irrompessero non truppe cammellate né zoccolanti asinini, ma donne e uomini convertiti a una speranza lievitata. Poi, davanti all’uomo scelto a guida dalla città, ci leveremo il cappello, ricordandogli che sul nostro civismo può contare e che noi lo faremo contare.