“La medicina difensiva”. Di seguito il 15° intervento del nuovo ciclo di appuntamenti con il dottor Nicola D’Imperio per “Medicina Live”, il nostro studio medico virtuale all’interno di SassiLive.
Faccio seguito all’articolo precedente in cui ho accennato alla medicina difensiva da parte del medico che altro non è che fare per il paziente il minimo indispensabile, mantenendosi però sempre nell’ambito della legalità per non incorrere nella malasanità, mentre, a mio parere, e non solo, è sempre necessario fare il massimo per il paziente. Faccio qualche esempio: i farmaci. Questi vanno consigliati in funzione non solo della patologia che debbono affrontare, ma di tanti altri parametri che un medico dovrebbe necessariamente considerare, i principali sono l’età del paziente, il sesso, il peso corporeo, l’attività fisica. Del farmaco il medico deve conoscere il meccanismo d’azione, la durata dell’effetto terapeutico, le capacità di assorbimento, le interazioni con altri farmaci, le reali controindicazioni, i reali effetti collaterali e la percentuale dei casi in cui queste si verificano; dico reali in quanto debbono essere dati supportati dalla letteratura scientifica e non dagli informatori scientifici che “filtrano” le notizie sui farmaci a fini commerciali. Riviste che sono validissime per l’informazione quotidiana del medico sono ormai numerose. Poiché, dare una giusta dose terapeutica per un certo periodo di tempo richiede conoscenza, impegno e responsabilità, molti medici attuano la medicina difensiva: prescrivono il farmaco a dosi basse, sub-terapeutiche, oppure lo prescrivono per periodi di tempo troppo brevi per avere un effetto terapeutico duraturo, questo lo fanno per stare dalla parte dei bottoni e non rischiare alcun problema soprattutto per loro stessi, intanto il paziente o non guarisce o, se guarisce, lo deve all’effetto placebo sempre presente in campo farmacologico, anche nelle patologie più gravi o difficili, oppure la patologia recidiva dopo la sospensione. A tale proposito un esempio per me eclatante è il seguente a proposito dei farmaci inibitori della pompa protonica, detti impropriamente “protettori gastrici”, che hanno rivoluzionato il mondo, dopo gli antibiotici, permettendo la guarigione di patologie che costituivano una vera piaga sociale, a volte mortali, quali le ulcere e le emorragie del tratto digestivo superiore. Verso la seconda metà degli anni novanta del secolo scorso furono immessi nel commercio i PPI, (Protonic Pomp Inibitors) potenti ed efficaci inibitori della secrezione di acido cloridrico. Dopo una decina d’anni di sperimentazione in vitro, in vivo e sugli umani volontari, si era constatato che non c’erano grossi effetti collaterali tranne la diarrea per alcuni, o il mal di testa o , solo per l’omeprazolo, l’interferenza con alcuni anticoagulanti e altri molto sporadici e tutti reversibili, cioè scompaiono alla sospensione del farmaco. Questi dati sono stati confermati nei decenni a venire; certo, di tanto in tanto esce qualche studio che, doverosamente, segnala qualche effetto collaterale, qualche interferenza, o altro ancora, ma non fanno testo, sono come un ago in un pagliaio rappresentato dai miliardi di pazienti trattati negli ultimi 30 anni coi PPI. All’uscita, per motivi commerciali e di business, che non hanno a cuore la salute della gente ma il profitto, il prezzo di tali farmaci era elevato. Intanto, a causa della loro straordinaria efficacia, i PPI furono riconosciuti in fascia A dal Ministero della Salute, cioè il paziente li avrebbe avuti completamente gratis. Le Regioni si videro allora sommerse dalle ricette di PPI dei medici curanti che avevano riconosciuto la grande efficacia di questi farmaci, con un notevole aggravio economico perché avrebbero dovuto pagare milioni di euro alle aziende fornitrici. A tal punto le Regioni posero un limite alle prescrizioni di PPI da parte dei medici curanti che, se avessero superato tale limite, sarebbero stati penalizzati.09:05
Allora i medici curanti, al fine di giustificare il rifiuto della prescrizione di PPI ai pazienti, incominciarono a dire loro che non potevano essere prescritti più di un certo limite temporale perché avevano degli effetti collaterali, in parole povere presi a lungo “facevano male” e quindi non li prescrivevano per il loro bene. Ma questa era solo una bugia da “Bugiardino” che, purtroppo, si trascina tuttora e che il gastroenterologo si trova ancora ad affrontare nella sua pratica medica quotidiana. Continuerò nel prossimo articolo con altri esempi di medicina difensiva.