Dal 10 al 31 agosto 2025, il Chiostro del Convento di Sant’Antonio si trasforma in un crocevia di emozioni e riflessioni con la mostra collettiva “100 artisti contro la guerra”, curata da Domenico Dragonetti. Un evento che raccoglie voci, stili e tecniche diverse, unite da un unico intento: dare forma visiva alla sofferenza, alla frammentazione e all’orrore dei conflitti, senza dimenticare la possibilità di un futuro senza guerre.La critica d’arte e giornalista Grazia Pastore, in apertura, ha tracciato un rapido excursus su come il tema della guerra sia stato affrontato nella storia dell’arte, per poi soffermarsi sulle opere esposte, capaci di raccontare storie intime e universali al tempo stesso.
Tele, sculture in pietra e legno, ceramiche, installazioni, pittosculture, fotografie e arte digitale si affiancano in un percorso che alterna figurativo e astratto. Nei lavori astratti, il colore diventa simbolo: dolore, terrore ma anche speranza. Spicca l’omaggio alle vittime della strage di Nassirya del 12 novembre 2003, con un ricordo particolare al sottotenente dei Carabinieri Filippo Merlino, originario di Sant’Arcangelo (Pz).Molti artisti si affidano a metafore potenti: il vessillo della Palestina, la stella di Davide, la chiave – simbolo della Nakba e del diritto al ritorno – evocano storie di esodi, radici spezzate e resistenza. Le immagini di civili in fuga, profughi affamati e bambini vittime della guerra si alternano a quelle che annunciano rinascita e resilienza.C’è spazio anche per la preghiera e la fratellanza universale, per la denuncia ironica contro la spettacolarizzazione della sofferenza e la narrazione edulcorata dei media occidentali. Alcune opere allargano lo sguardo alle “guerre” dell’uomo contro l’ambiente, ricordando le responsabilità legate all’uso di armi tecnologiche e a comportamenti ecologici irresponsabili.La mostra non si limita a un’esperienza estetica: è un atto di presa di posizione, un invito a non restare indifferenti. Nel silenzio del Chiostro, le opere parlano a chi sa ascoltare, trasformandosi in un coro che chiede responsabilità globale di fronte ai conflitti di ogni epoca.




