Salvini attacca chi esprime solidarietà alla causa palestinese o osa criticare le scelte del governo israeliano, intervento Digilio (Attivista Politico e Consigliere Federale Nazione Europa Verde – Verdi).
Di fronte a una crisi sociale crescente, con salari fermi, trasporti al collasso e un’emergenza climatica che bussa alla porta, ci si aspetterebbe un governo all’altezza delle sfide. Invece, ancora una volta, Salvini, vicepremier del governo a trazione autoritaria ha scelto un nuovo nemico da combattere: chi esprime solidarietà alla causa palestinese o osa criticare le scelte del governo israeliano.
“Condanno chi si ribella contro Israele”, ha dichiarato con il suo consueto tono muscolare. Una frase che, in un paese ancora democratico, meriterebbe non solo indignazione, ma una reazione politica trasversale. Ma tant’è.
Chi si ribella pacificamente, pubblicamente, nel rispetto della Costituzione non può essere considerato un nemico. E chi, al governo oggi, confonde dissenso con sovversione, solidarietà con odio, protesta con terrorismo, mostra il vero volto di un potere che teme il confronto e reprime la critica.
Condannare il terrorismo è doveroso. Ma ridurre la questione israelo-palestinese a uno scontro tra “buoni” e “cattivi” è un atto di propaganda che fa il gioco della destra internazionale. Salvini e il governo Meloni lo fanno scientemente, piegando l’opinione pubblica a una narrazione che criminalizza ogni forma di resistenza, anche quella civile, anche quella legittima.
Nel caso della Palestina, ciò che questo governo non vuole vedere è l’occupazione militare, l’espansione illegale degli insediamenti, l’assedio di Gaza, le migliaia di morti civili, la distruzione di scuole, ospedali, famiglie. Chi si ribella a tutto questo, lo ripeto, non si oppone a un popolo, né all’ebraismo, ma a un governo che ha scelto la strada della violenza sistematica e del disprezzo per il diritto internazionale.
Non è solo una questione geopolitica. È una questione democratica. Perché oggi in Italia si vorrebbero condannare indistintamente manifestanti, attivisti, studenti, semplici cittadini che chiedono giustizia. E intanto si condonano reati molto più gravi contro la morale (questa sconosciuta) e contro la nostra stessa Costituzione. Si colpisce il dissenso con misure repressive, minacce legali, censure. Si tenta di trasformare la solidarietà internazionale in reato d’opinione. Ma dove siamo arrivati?
E allora è legittimo chiedersi cosa condannano davvero Salvini e il suo degno governo? I razzi sugli innocenti o le parole contro chi li lancia? Le bombe o i cartelli in piazza? L’odio o il grido di chi non vuole essere complice, in nome di un sovranismo che nulla ha a che vedere con la nostra tradizione democratica?
Chi manifesta pacificamente non commette alcun crimine. Soprattutto se lo fa contro un governo che da mesi bombarda Gaza, blocca gli aiuti umanitari, ignora ogni risoluzione ONU e continua a manifestare insensibilità contro il grido di pace internazionale. E chi prova a zittire queste voci, chi le minaccia o le delegittima, si rende politicamente e moralmente complice di crimini e violenze che la storia giudicherà.
Siamo di fronte a una pericolosa deriva autoritaria. In Italia, come altrove, la libertà di manifestare il proprio pensiero è sotto attacco. Ma se c’è una cosa che ci insegna la storia, è che il dissenso non si arresta. Né con le denunce, né con i manganelli, né con i proclami da comizio. Dovrebbero ricordarlo quei nostalgici silenti che pure occupano democraticamente i banchi del parlamento.
In un paese che vuole ancora dirsi democratico, chi si ribella all’ingiustizia non va condannato. Va ascoltato, protetto, difeso. Perché in un tempo in cui chi bombarda è applaudito e chi manifesta è accusato, scegliere da che parte stare è un atto di responsabilità, non è solo un atto politico. È la misura di ciò che resta della nostra umanità.

