Gerardo Lisco, ricercatore indipendente di scienza della politica e analisi delle politiche pubbliche: Le aree interne come “scarto” della “modernizzazione”. Di seguito la nota integrale.
La sera dello scorso 10 agosto mi trovavo in uno splendido paesino della Basilicata, San Martino d’Agri, uno dei tanti paesi interni della nostra Italia. Un paese arroccato su un colle sormontato dal palazzo baronale che domina la valle circostante attraversata dal fiume Agri. Oltre al palazzo baronale, un Convento francescano ricco di splendidi affreschi e l’adiacente Chiesa, anch’essa un capolavoro, segni questi di una condizione diversa da quella a cui la “modernizzazione” ha condannato le aree interne dell’Italia. Ho avuto modo di osservare simili realtà anche in Abruzzo, Molise e Umbria, regioni che da anni frequento. A San Martino d’Agri, comune di soli 450 abitanti, ho potuto parlare con il Sindaco dott. Mario Antonio Imperatrice, il Vice Sindaco Ing. Emanuela Barletta, il presidente Fabrizio Conte dell’Associazione locale “Vincenzo Marinelli”, che tiene viva la comunità: la prima cosa che mi preme evidenziare è l’eroismo, tanto degli amministratori comunali quanto degli animatori dell’associazione. Per la festa del patrono del paese, San Lorenzo, hanno organizzato una mostra di opere di pittori lucani sul tema della guerra, curata dall’architetto Domenico Dragonetti e presentata dalla critica d’arte e giornalista Grazia Pastore e la presentazione di un libro fotografico dedicato ai riti tradizionali della Basilicata, dal significativo titolo “Sacro e Pagano”, a cura dell’artista e fotografo Domenicantonio Possidente. Parto per la mia riflessione proprio da questo volume che, come suggerisce il titolo, è un viaggio fotografico tra i riti pagani presenti nella tradizione lucana, reinterpretati in chiave cristiana all’insegna di quel sincretismo che è alla base dell’identità occidentale. Tutto questo mi ha portato alla mente ciò che scriveva il sociologo Z. Bauman in un suo saggio a proposito degli scarti prodotti dalla “modernità” e il recente Piano per le Aree interne, PSNAI riferito al ciclo di programmazione 2021 – 2027 a cura della Presidenza del Consiglio.
Scrive Bauman, in “Vite di scarto” a proposito degli scarti prodotti dalla modernità << La mente moderna è nata insieme all’idea che il mondo si possa cambiare. Modernità è rifiutare il mondo così com’è stato finora e decidere di cambiarlo. Il modo d’essere moderno consiste in un cambiamento compulsivo, ossessivo: nel rifiuto di ciò che “semplicemente è” in nome di ciò che potrebbe, e per ciò stesso dovrebbe, essere messo al suo posto. (…) La storia dell’era moderna è stata una lunga serie di progetti accarezzati, perseguiti, portati a termine, falliti o abbandonati. I progetti erano tanti e vari, ma ciascuno dipingeva una realtà futura diversa da quella nota ai progettisti. E dal momento che “il futuro” non esiste finché rimane “nel futuro”, e poiché trattando con il non – esistere non si può “aver ben chiari i fatti!, non c’era modo di capire in anticipo – e meno ancora con certezza – quale mondo sarebbe emerso al termine degli sforzi di costruzione (…) >> pertanto ciò che è emerso alla fine della “modernizzazione” sono gli “scarti” del sistema produttivo rappresentati, nel caso specifico, dalle aree interne. A riconoscere questo e a prendere atto del fallimento del processo di modernizzazione è il PSNAI, ossia il Piano per le Aree Interne varato dalla Presidenza del Consiglio. A leggere tale piano ciò che si evince è l’abbandono di queste aree da parte della politica. Infatti scopo del piano non è il recupero degli “scarti”al fine della loro messa a valore per l’intera comunità nazionale ma la presa d’atto della realtà come riportato a pag. 44 “nessun Comune ha di fronte un destino ineluttabile in relazione alle coordinate geografiche in cui si trova, ma sono molti i comuni che rischiano un percorso di marginalizzazione irreversibile per le dinamiche demografiche che li caratterizzano”. A pag. 45 il documento prosegue “Obiettivo 4: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile. Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso cronicizzato di declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. La premessa riporta:“Il Piano prevede un approccio integrato, insieme a misure concrete per rafforzare la competitività e la resilienza delle regioni. È fondamentale assicurare una crescita sostenibile a lungo termine, promuovere l’inclusione sociale e accompagnare i territori con riforme strutturali e il potenziamento della capacità amministrativa. Gli interventi devono consentire ai cittadini di restare nelle loro comunità, migliorando al contempo la qualità della vita e le condizioni socio-economiche locali.
In primo luogo, è fondamentale investire nei servizi pubblici, come sanità, istruzione, e trasporti pubblici, incentivando soluzioni condivise e intelligenti come la telemedicina e l’elearning, che ne aumentano l’efficienza e l’accessibilità. Solo attraverso un accesso a servizi essenziali di qualità sarà possibile contrastare lo spopolamento e attrarre nuove famiglie e professionisti.
In secondo luogo, è necessario colmare il divario digitale. Investire nella digitalizzazione delle aree periferiche e ultraperiferiche, sviluppando infrastrutture come reti Internet ad alta velocità e 5G, contribuirà a migliorare la competitività regionale, facilitando il lavoro da remoto e l’istruzione online. Questo approccio mira a nuove opportunità e incoraggerà il ritorno dei giovani nelle zone rurali e periferiche, migliorando la connettività, sia in termini di infrastrutture di trasporto che digitali, per garantire che le persone delle aree periferiche rimangano collegate con i principali centri urbani.
In terzo luogo, il Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne, tramite le risorse nazionali, regionali ed europee, deve sostenere le economie locali e promuovere l’innovazione. Garantire il “diritto di restare” implica la creazione di posti di lavoro di qualità per trattenere i giovani nel territorio, ma anche per coloro che sono stati esclusi dal mercato del lavoro per lungo tempo. Incentivare l’imprenditorialità in tali aree, l’agricoltura sostenibile e l’economia circolare contribuirà a costruire ecosistemi economici resilienti, in grado di favorire una crescita a lungo termine.
In quarto luogo, il rafforzamento dello sviluppo sostenibile è una priorità in questi territori, con una particolare attenzione sulle transizioni ecologica e digitale. Investire in energie rinnovabili, trasporti sostenibili e tutela ambientale non solo migliorerà le condizioni di vita, ma creerà anche posti di lavoro “verdi” e opportunità di sviluppo locale.”
Quanto riportato nelle pagine 44 e 45 del PSNAI è chiaramente in contraddizione con quanto riportato nella “Premessa” per cui è evidente che il Governo ha fatto un’analisi costi-benefici, ha fissato una serie di criteri e di vincoli di tipo finanziario e ha deciso che vi sono aree interne che non meritano nessun tipo di sostegno perché il declino è irreversibile.
Ma cosa sono le Aree interne e cosa rappresentano? Per capire di cosa si parla prendo a riferimento quanto riportato dall’ANCI – Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Le aree interne hanno oltre 5000 comuni con 13 milioni di abitanti e occupano il 60% del territorio nazionale, 180.000 kmq su 300.000 kmq di territorio nazionale. Sono una realtà ricca di Storia, di cultura, sono realtà che sostenute possono contribuire al mantenimento del territorio ed essere fattore di crescita e sviluppo per l’intera comunità nazionale. L’attivismo e l’amore per la propria comunità che ho visto ieri sera in questo piccolo comune della Basilicata non sono rari, ma diffusi in molte altre realtà simili: se valorizzato può diventare il lievito per una trasformazione in positivo della nostra Società. I dati demografici relativi all’Italia da qui al 2050 elaborati dal demografo Rosina – dati presi a riferimento dallo stesso PSNAI – descrivono un’Italia con sfide enormi da affrontare subito, senza aspettare il 2050. A rendere l’idea della sfida sono alcuni dati: i nuclei familiari saranno 26,8 milioni di poco superiori a quelli di oggi, saranno in prevalenza famiglie formate da una sola persona, per cui utilizzare il termine “famiglia” non mi sembra appropriato. Il 40% delle case saranno abitate da una sola persona. La solitudine riguarderà gli anziani, le famiglie con figli saranno un quinto del totale, un altro quinto sarà di famiglie senza figli, poco meno del 10% famiglie di madri singole, circa il 4% di padri soli con figlio. I dati presentati dal prof. Rosina indicano che gli italiani si concentreranno prevalente nel nord Italia e nelle città, che offriranno servizi adeguati, lavoro ecc. Descrivere una tendenza deve servire a chi governa, o anche a chi fa l’opposizione, per immaginare un qualcosa di diverso. Il cambiamento non è solo assecondare il mercato come sta succedendo ormai da decenni, cambiamento non è solo attuare politiche di bilancio finalizzate a “tenere i conti in ordine”, il cambiamento dipende molto da fattori culturali, direi antropologici, che indirizzati in modo opportuno possono in concreto modificare le tendenze che i freddi numeri descrivono. L’innovazione tecnologica offre opportunità in materia di lavoro, di assistenza sanitaria, di formazione, istruzione ed altro ancora. La sfida non è nel favorire ancora di più la concentrazione nelle città, ormai invivibili, dove la qualità della vita peggiora sempre di più, ma la sfida è utilizzare risorse finanziarie e innovazione tecnologica per migliorare la qualità della vita su tutto il territorio nazionale. La prossimità, propria delle piccole comunità, potrebbe contribuire a migliorare la qualità della vita. Sul tema mi piace concludere con ciò che mi diceva il vicesindaco di San Martino d’Agri Emanuela Barletta, una giovane donna laureatasi in ingegneria e rientrata nel suo comune dopo aver lavorato in Piemonte: “guarda i miei figli, sono liberi di scorazzare nel paese. Tutti ci conosciamo, sono sicura di lasciare liberi i miei figli perché questo è il Paese, la Comunità”. In città, invece, i genitori perdono tempo per portare i figli all’asilo, a scuola, in palestra o a svolgere una qualsiasi altra attività nella speranza di farli socializzare. Quanto tempo guadagnerebbero i genitori e quanto ne guadagnerebbero gli stessi figli? Tanto. Tempo che potrebbe essere utilizzato per altro, magari dedicato agli altri, alla comunità, alla solidarietà.

