Deputato Lomuti (M5s): Tutto “biogas”, Basilicata ostaggio della speculazione del falso green. Di seguito la nota integrale.
Cosa sta accadendo attorno alla filiera del biogas in Basilicata? Siamo davanti ad un nuovo assalto al territorio? Dopo petrolio, rifiuti e rinnovabili selvagge ora tocca anche al biogas? Grottole, Matera, Melfi, Policoro, Venosa solo per elencare alcuni comuni lucani che già ospitano od ospiteranno impianti a biogas. Il caso Melfi è emblematico: 5 impianti previsti all’interno del medesimo territorio comunale, nella medesima zona industriale eppure pare che solo in queste settimane la Regione Basilicata abbia iniziato a mettere mano ad un vero piano delle aree idonee a questi impianti. Infatti dopo la protesta su Matera per l’impianto di La Martella, anche su Policoro c’è stata una forte alzata di scudi che ha visto la locale amministrazione unirsi a cittadini, associazioni ed agricoltori dell’area arrivando ad una rivalutazione dell’AUA rilasciata dal Dipartimento Ambiente il 30 dicembre 2024. A Grottole l’impianto è in via di completamento, a monte della Diga di San Giuliano, mentre a Venosa associazioni ambientaliste hanno rilevato mediante l’uso di una termocamera all’infrarosso le emissioni di metano da un impianto già attivo da tempo. Questi progetti non sono stati condivisi con la popolazione, non sono stati preventivamente presentati e discussi in pubblico, anzi in molti casi le comunità locali hanno avuto anche tardivo e parziale accesso agli atti, riducendo le capacità di opposizione delle comunità locali. Le distanze di sicurezza da case, colture pregiate e centri abitati sono ancora discutibili per molti esperti, che giudicano le distanze autorizzative comprese tra pochi centinaia di metri ed il chilometro e mezzo per le aree protette per esempio, troppo opinabili e scientificamente non provate. Cosa ancora più grave l’albo pretorio regionale non pubblica neanche le determine complete e non esiste un documento ufficiale che illustri quante richieste sono ancora pendenti. Spesso i proponenti o investitori sono società non lucane, con capitali sociali versati minimi, non si comprende come possano garantire i danni e soprattutto dove sia tutto questo fabbisogno: il territorio regionale produce tanta biomassa da giustificare tutti questi impianti? La vera transizione ecologica deve tenere la speculazione finanziaria lontano dalla produzione di energia altrimenti siamo ai soliti oligopoli. Perché dovremmo aprire tutti questi impianti se alcuni esistenti hanno già chiuso? La macchina dei controlli ambientali già in affanno con l’esistente, sarebbe capace di controllare gli impatti odorigeni anche di questi impianti? Non esiste trasparenza nei procedimenti, le conferenze di servizi mancano di numerose parti non convocate, non sono pubblici i contratti di fornitura agricola, e manca il piano paesaggistico regionale, il vero scudo contro l’assalto speculativo.

