Lunedì 4 agosto 2025 dalle ore 11 alle ore 13 nei locali della Parrocchia di S. Anna in Viale Dante a Potenza è in programma la conferenza stampa dei Comitati per la Pace e le Reti per la Palestina di Basilicata per la presentazione delle motivazioni dell’organizzazione di un presidio antimilitarista che si terrà nella zona industriale di Tito Scalo a partire dalle ore 10 di mercoledì 6 Agosto, all’incrocio tra Via Scalo Ferroviario e Strada Comunale della Mattina, nelle adiacenze della sede di “Leonardo Logistics”, considerato il ruolo di primo piano che sta svolgendo l’azienda Leonardo SpA nelle politiche di riarmo promosse e sostenute dalla NATO, dalla UE, dal governo italiano.
Gli organizzatori sottolineano che la data del presidio ricade nel giorno della tragica ricorrenza dell’80° anno dal lancio della prima bomba atomica su Hiroshima.
“Vogliamo denunciare al proposito il rischio attuale di utilizzo di missili a testata nucleare negli scenari di guerra, così come i piani di riarmo UE che contribuiscono decisamente alla distruzione dello Stato Sociale, della democrazia, dei diritti conquistati.
Sollecitiamo allo stesso tempo con forza la fine delle uccisioni di massa per bombe e per fame perpetrate dal governo di Israele in Palestina”.
Leonardo SpA, la Basilicata, la Terza Guerra mondiale, Di seguito la nota dei Comitati per la Pace e le Reti per la Palestina di Basilicata
Quale normalità in Basilicata?
Nell’ambito della conclamata tendenza mondiale alla guerra, accompagnata da una folle corsa al riarmo che garantisce profitti esorbitanti alle grandi banche di investimento ed ai principali gruppi multinazionali, il silenzio delle istituzioni lucane è una coperta corta che serve solo a garantire il mantenimento degli interessi statali dominanti.
Mentre la Nato e la UE della presidente della Commissione europea Von Der Leyen impongono (decisione del Parlamento UE del 12 marzo scorso) piani lacrime e sangue di devastazione dello Stato Sociale per favorire il micidiale e senza precedenti piano denominato ReArm Europe (poi Readiness 2030) da 800 miliardi di Euro per ricerca e produzione di armamenti, nella prospettiva del 5% del PIL da destinare al complesso militare-industriale europeo, la scelta del silenzio serve a sollevare una densa e soporifera cortina fumogena sulle responsabilità di una classe politica ed imprenditoriale che punta a trasformare la ricerca degli spazi di mediazione per la pace in una forzata alleanza di guerra.
Si tratta di “costruttori di normalità”, che da diretti dipendenti governativi non devono disturbare le strategie delle lobbies ormai padrone del territorio. Ma quanto è “normale” che Stellantis e l’intero comparto dell’automotive si vogliano integrare nel flusso della conversione alla produzione militare agganciandosi al carro della Rheinmetall? Non è forse una trasformazione immediata, ma con un Governo centrale già al lavoro su soluzioni concrete sarebbe il caso di parlarne anche in Basilicata. Oltretutto, Leonardo S.p.A. ha avviato da poco una joint venture con il colosso tedesco Rheinmetall per la produzione di mezzi corazzati, mentre Iveco Defense, specie in seguito all’accordo di Novembre 2024 con la stessa Leonardo, è già pienamente operativa nel settore.
Quale apparato militare industriale?
In Basilicata parlare oggi di integrazione nel complesso militare-industriale è ben altra cosa dalla linearità e dalla logica Nato degli anni della Guerra Fredda, quando tra fine anni ’50 e primi ’60 erano attive le basi per il lancio di missili balistici nucleari Jupiter, missili a medio raggio con testata nucleare, capaci di colpire l’allora Unione Sovietica ed i Paesi meridionali del Patto di Varsavia, come ad Irsina, a Tolve, a Salandra. Basi che facevano parte di un sistema più ampio, comprendente anche siti in Puglia, che furono smantellate dopo la crisi dei missili a Cuba nel 1963. Così come diverso era il ruolo delle Stazioni NATO Ace High, quali la stazione del Monte Vulture attiva dal 1962 al 1995, importante per i collegamenti militari tra Basilicata e Puglia, che pure rimane zona militare, e la stazione ripetitrice “Pietra Ficcata”, tra Salandra e Grottole.
Tra eredità nucleare e rebus del sito unico.
Oltre ad essere stata a lungo terra di indisturbato addestramento militare, la Basilicata è oggi costretta a fare i conti con la scomodissima quanto indesiderata eredità dell’ ITREC (Impianto di Trattamento e Rifabbricazione Elementi di Combustibile) della Trisaia, nel comune di Rotondella, nel Centro Ricerche ENEA, costruito tra 1965 e 1970 nel quadro dell’accordo tra il Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN) e la Commissione statunitense per l’energia atomica (USAEC). Gli esperimenti di fattibilità della chiusura del ciclo uranio-torio, con trattamento del combustibile irraggiato e rifabbricazione di nuovo combustibile utilizzando uranio e torio recuperati, hanno portato alla consegna di 84 elementi di combustibile irraggiato provenienti dal reattore nucleare sperimentale di Elk River in Minnesota. Dall’avvio del decommissioning sotto la gestione della Sogin, la prospettiva dello smantellamento delle strutture e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi ha prodotto, come sappiamo, nel 2003, un tentativo mediato dal generale Jean di imposizione del sito unico delle scorie radioattive nel territorio di Scanzano Jonico, per fortuna respinto con forza e determinazione dalle compatte mobilitazioni popolari. Restano nella “piscina” dell’ITREC i rifiuti ad alta radioattività, costituiti da 64 barre di uranio, mentre 130 tonnellate di rifiuti a media radioattività ubicati nel cosiddetto “monolite” in cemento armato con 220 fusti, sono state rimosse solo nel 2019. La bonifica deve essere completata; resta un giallo l’origine di pesanti contaminazioni, mentre il piano di rilancio del nucleare caldeggiato dal governo in carica ne allontana gli orizzonti. La stessa questione del Sito Unico resta in sospeso ed irrisolta, con ben 16 “candidature” di siti potenziali dislocati tra Montescaglioso, Bernalda, Ginestra.
Leonardo S.p.A. in Basilicata
Il modo di muoversi e di camuffarsi dell’apparato finanziario/industriale/militare sui territori è molto sfuggente, vivendo di intrecci e scambi di interessi, commesse e frazionamenti a cavallo con le ambiguità del duplice uso bellico e/o civile. In una Basilicata dominata dal dialogo tra multinazionali ed attenti esecutori politici locali, rischia di sfuggire la dimensione della collaborazione interattiva tra ENI, la danese MAERSK (trasporti e fornitura di sistemi di sicurezza per le emissioni chimiche, presente al COVA di Viggiano), Leonardo S.p.A.
Il gruppo Leonardo, che opera in diversi settori come l’aerospazio, la difesa, la sicurezza, si avvale in Italia di oltre 31.000 dipendenti e 70 siti, di cui 38 produttivi, dislocati in 15 Regioni, con una concentrazione industriale particolarmente elevata in Lombardia, Lazio, Campania, Piemonte, Puglia, Liguria e Toscana, oltre che di numerosi siti operativi distribuiti sul territorio nazionale. Del gruppo Leonardo fa parte il Centro spaziale e-GEOS a Matera, che in collaborazione col Matera Space Center monitora costantemente il corretto funzionamento dei sistemi di controllo a terra delle missioni spaziali di osservazione terrestre, “con occhi aperti sul futuro”. Adiacente al Centro di Geodesia Spaziale dell’ASI, il centro contribuisce alla costituzione del “polo spaziale della Basilicata”, dedicato all’osservazione della Terra e alla geodesia spaziale.
Società all’80% di Telespazio e al 20% dell’ASI – Agenzia Spaziale italiana, e-GEOS segue le attività di mantenimento in condizioni operative dei ground segment delle missioni PRISMA (PRecursore IperSpettrale della Missione Applicativa) e SAOCOM (Satélite Argentino de Observación Con Microondas), e del sistema di monitoraggio dei detriti spaziali SDO (Space Debris Observatory) dell’ ASI. Un servizio utile per una moltitudine di applicazioni, dalla meteorologia alle comunicazioni, fino al trasporto globale di merci e passeggeri. Centro di elaborazione e servizi dati con finalità di controllo e capace di progetti di respiro internazionale, in grado di collaborare con vari paesi ed interlocutori imprenditoriali nazionali ed internazionali, il “polo spaziale della Basilicata” lavora all’esplorazione di nuove potenzialità di applicazione tecnologica che si articolano dalla difesa ambientale alla fornitura di dati necessari all’Aeronautica militare, secondo la logica flessibile del “dual use”.
Dal Centro operano le antenne e le infrastrutture necessarie all’acquisizione, elaborazione, archiviazione e disseminazione dei dati telerilevati dai principali satelliti di osservazione della Terra e delle più importanti missioni commerciali. Il Matera Space Centre è quotidianamente coinvolto in servizi di acquisizione di carattere multi-missione, ferme restando la diversità dei sistemi da controllare e la varietà dei servizi di acquisizione da erogare per conto dei rispettivi enti richiedenti. Recenti le attività legate a T-DROMES, soluzione innovativa sviluppata da Telespazio S.p.A. (società partecipata da Leonardo al 67% e da Thales al 33%, tra i principali leaders europei e tra i principali operatori al mondo nel campo dei servizi satellitari, della geoinformazione e dei sistemi di navigazione in rete, che ha supportato gli organi di difesa nazionale con la progettazione, fornitura e supporto di reti e apparati di telecomunicazioni tattiche e strategiche, nonché sistemi di guerra elettronica, sistemi informatici e di protezione delle comunicazioni, soluzioni tecnologiche integrate a bordo di piattaforme terrestri, navali e aeronautiche, piattaforme di comando e soluzioni di controllo. Thales ha inoltre progettato e realizzato l’infrastruttura di telecomunicazioni delle Forze Armate italiane) per gestire flotte e missioni di velivoli a pilotaggio remoto, che permette di utilizzare droni con un approccio scalabile, in operazioni complesse e in diversi scenari applicativi.
Avanti con la riorganizzazione delle attività spaziali e della sicurezza globale.
L’amministratore delegato e direttore generale di Leonardo S.p.A., Roberto Cingolani, punta da un paio di anni, per il rafforzamento aziendale del gruppo italiano dell’aerospazio e difesa, alla creazione della nuova divisione Spazio, accelerando sulle attività nella cybersecurity, favorendo lo sviluppo di “una strategia che faccia leva sull’intelligenza artificiale generativa e sulle capacità multidominio per tutte le piattaforme di Leonardo”, dotando il gruppo di un piano di efficientamento che è già “pienamente operativo e in linea con il raggiungimento del target previsto”. Il gruppo Leonardo inoltre lavora incessantemente per rafforzare le alleanze internazionali, “accelerando la definizione di un nuovo scenario nelle aerostrutture” ed è impegnato in prima linea per la progettazione e realizzazione della “nuova struttura della difesa europea con le altre istituzioni e aziende”, lavorando su una agenda con tempi stretti con altre aziende in Europa, definendo sinergie, opportunità di mercato, analisi di prodotti per eventuali joint venture.
Nell’ultimo decennio (entro dicembre 2024, con dati elaborati dalle Relazioni della Presidenza del Consiglio) le autorizzazioni all’esportazione di armamenti italiani hanno raggiunto i massimi storici, attestandosi mediamente attorno ai 7,2 miliardi di Euro.
Il forte incremento nell’ultimo ventennio delle autorizzazioni è principalmente riconducibile alla riorganizzazione di Finmeccanica-Leonardo, la principale azienda italiana produttrice di armamenti, e alla sua polarizzazione verso il settore militare rispetto a quello civile.
A partire dai primi anni Duemila, infatti, la strategia di sviluppo industriale di Finmeccanica ha iniziato a focalizzarsi sul settore dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza. Strategia che si è consolidata negli anni successivi, facendo confluire nella società capogruppo le controllate AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Oto Melara, Selex ES e Wass Submarine Systems, dismettendo gli asset considerati non strategici di tipo civile come quelli di Ansaldo Energia (centrali elettriche), AnsaldoBreda e Ansaldo STS (sistemi di trasporto ferroviari e metropolitani).
Per completare l’operazione di restyling è stato scelto un nuovo nome. Nel 2017 Finmeccanica è stata rinominata “Leonardo” dal nome del celebre scienziato italiano.
La “One Company” è diventata così un’unica azienda attiva nell’aerospazio, nella difesa e sicurezza. Con quasi 17,8 miliardi di fatturato, 60.468 dipendenti in tutto il mondo (36.704 in Italia), una significativa presenza industriale e commerciale in 150 paesi (in particolare, oltre all’Italia, nel Regno Unito, Stati Uniti e Polonia) e, soprattutto, con un portafoglio d’ordini nel 2024 di 44,2 miliardi di Euro, Leonardo si presenta oggi come “una delle prime dieci aziende globali nel settore dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza”, una multinazionale degli armamenti.
Questa performance è stata resa possibile grazie al sostegno dei vari governi alle politiche delle esportazioni di sistemi militari.
Alcuni contratti, come quello per la fornitura al Kuwait di 28 aerei multiruolo “Eurofighter Typhoon” del valore di oltre 7 miliardi di Euro, che ha portato nel 2016 a raggiungere il massimo storico delle autorizzazioni all’esportazione, non sarebbero stati possibili senza l’appoggio diretto da parte del governo. Lo Stato italiano, attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, è infatti il principale azionista di Leonardo e praticamente l’unico azionista di Fincantieri, i due colossi della produzione militare italiana (Fincantieri S.p.A., azienda pubblica italiana, opera nella cantieristica navale ed è il più importante gruppo navale d’Europa e il quarto a livello internazionale. Già di proprietà dell’IRI fin dalla sua fondazione, è oggi controllata al 71,3% da Cdp Industria, finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti). È pertanto evidente l’interesse dei governi non solo a sostenere, ma a favorire ed incentivare le esportazioni militari delle aziende nazionali.
Per favorire un remake ed essere mediaticamente più presentabile, il nome “Leonardo” fu assunto dopo lo scandalo per corruzione internazionale e false fatturazioni del 2016 (fino ad allora si chiamava Finmeccanica). Gruppo che negli ultimi decenni ha dismesso quasi tutti i settori produttivi civili (a partire da quello ferroviario).
Nell’ultimo bilancio disponibile Leonardo S.p.A. dichiara del resto che attualmente realizza l’83% del proprio fatturato nel settore difesa, avendo quasi solo clienti governativi (88%). Ma pur dedicandosi oggi quasi esclusivamente al business della guerra, tenendoci molto alla propria immagine (fatta salva la quota del governo italiano, il 51,8% del capitale è nelle mani di investitori istituzionali in gran parte britannici e statunitensi), preferisce collocarsi nel generico e più presentabile mercato del settore ADS (Aerospazio, Difesa, Sicurezza).
Con le mani nel sangue della Palestina
E’ anche per questo che l’azienda è molto incline a negare sistematicamente le proprie responsabilità e dichiarare il falso, soprattutto quando si tratta di partecipazione produttiva o alle vendite riguardanti scenari di guerra.
Capita comunque che “l’azienda delle armi sotto controllo governativo italiano” venga smentita, come nel vergognoso e sanguinosissimo caso della guerra di sterminio che Israele sta conducendo contro la popolazione palestinese!
Lo Stato israeliano non solo utilizza armi di Leonardo S.p.A., ma ci sono evidenze che le stesse sono state impiegate in azioni di bombardamento indiscriminato su aree urbane densamente abitate.
L’IDF, l’esercito israeliano, da ottobre 2023 bombarda ed occupa la Striscia di Gaza, utilizzando anche armi di produzione ed origine italiana. E’ stato documentato con un breve filmato che l’attacco alla Striscia di Gaza è stato condotto anche via mare da navi da guerra al largo dalla costa, per colpire le aree urbane settentrionali della Striscia. Tra quelle navi era presente e mortalmente operativa anche una corvetta classe Sa’ar6 della Marina israeliana con cannoni Oto Melara.
Il bombardamento su aree abitate da popolazione civile è stato effettuato con cannoni navali super rapidi Oto Melara 76/62 Multi-Feeding da 76mm, costruiti nello stabilimento Leonardo (ex Oto Melara) di La Spezia.
Si tratta di sistemi d’arma adottati da numerose marine militari nel mondo, tra cui dal 1969 quella israeliana.
L’Osservatorio The Weapon Watch documenta che quei cannoni “sono stati consegnati alla Marina militare israeliana nella base navale di Haifa il 13 settembre 2022 con apposita cerimonia, e montati su due nuove corvette della Marina militare israeliana”.
Le navi in questione “impegnate nella loro prima azione in battaglia, sono la INS Magen e la INS Oz, le unità più grandi e più moderne della Marina militare israeliana”. Costruite in Germania dai cantieri ThyssenKrupp e consegnate tra dicembre 2020 e maggio 2021, “il costo di ciascuna era stimato di poco inferiore ai 600 milioni di dollari, sostenuto per due terzi dal governo israeliano e per un terzo da quello tedesco”.
Secondo The Weapon Watch, “la ragguardevole spesa era stata a suo tempo giustificata con la necessità di difendere i giacimenti di gas metano che Israele controlla nel Mediterraneo (col supporto attivo ed interessato di ENI, diffidata da uno studio legale britannico per ignorare di fiancheggiare l’illegittima espropriazione dei giacimenti appartenenti per diritto ai palestinesi) e che sono rivendicati dagli stati confinanti”. Ma poi, in seguito all’attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre 2023, quelle due corvette dotate dei cannoni navali super rapidi del gruppo italiano a controllo statale Leonardo, la cui gittata (a seconda del tipo di munizionamento) va da 20 a 35 chilometri di distanza, “sono state impiegate per la prima volta nella guerra interna contro i palestinesi di Gaza, occasione propizia per testare sistemi ed equipaggio”. Inutile negare che uno dei principali motivi del perverso intreccio militar/commerciale tra paesi dell’area NATO e Israele risiede nella garanzia dell’efficacia e dell’efficienza dei sistemi di armamento in quanto “testati sul campo”.
Ci sono poi i caccia Alenia Aermacchi M-346 Master ‘Lavi’: “Il gruppo Leonardo ne ha consegnati a Israele 30 esemplari tra il 2014 e il 2016, senza alcuna garanzia che non vengano trasformati nella versione armata fighter attack, dotabile di mitragliatrici da 20 millimetri, cannoncino da 30 millimetri, sistemi di ancoraggio e sgancio di bombe e pod subalari per missili aria-aria o aria-terra”.
The Weapon Watch ci tiene inoltre ad evidenziare “la forte connessione con il sistema militare-industriale di Israele”. Per il gruppo italiano a controllo statale, lo Stato ebraico non è solo un cliente, in quanto quest’ultimo ospita stabilimenti e dipendenti di Leonardo. La presenza diretta della Leonardo spa in Israele “si deve a un’operazione conclusasi nel luglio 2022 con l’acquisizione della società israeliana RADA Electronic Industries, specializzata in radar per la difesa a corto raggio e anti-droni ed alla conseguente nascita della nuova società israeliana DRS RADA Technologies, controllata da Leonardo DRS Inc. con sede negli Stati Uniti”.
La DRS RADA Technologies del gruppo Leonardo conta 248 dipendenti e ha tre sedi in Israele (uffici a Netanya, stabilimento principale a Beit She’an e centro ricerche nel Gav-Yam Negev Tech Park di Beer Sheva), oltre uffici negli USA (a Germantown, Maryland, ai margini dell’area metropolitana di Washington D.C).
La DRS RADA Technologies del gruppo a controllo Leonardo S.p.A. “ha partecipato alla realizzazione di ‘Iron Fist’, un sistema di protezione attiva montato sui nuovi Armoured fighting vehicles (AFV) delle Israel Defence Forces (IDF), gli ‘Eitan’ a otto ruote destinati a sostituire i vecchi M113”. Il loro effettivo impiego era previsto nel corso del 2024, ma “l’attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre ha comportato un immediato utilizzo dei nuovi mezzi nella battaglia di Zikim, circa 3 km a nord della Striscia di Gaza, nei pressi di una base militare israeliana attaccata dai militanti palestinesi”. Successivamente, “gli Eitan hanno partecipato all’invasione e alle operazioni militari di Gaza”, denuncia The Weapon Watch.
Stesso discorso per i giganteschi bulldozer blindati Caterpillar D9, adoperati a Gaza per distruggere abitazioni e strutture palestinesi, che “saranno dotati dei sistemi di protezione attiva e dei radar tattici di DRS RADA”. C’è poi la DRS Sustainment Systems Inc., altra azienda del gruppo Leonardo con sede negli Stati Uniti, che “supporta la mobilità dei mezzi pesanti delle Forze armate israeliane fornendo gli speciali carrelli a due assi capaci di un carico utile di 77 tonnellate, cioè più di quanto pesi un carro armato da combattimento Merkava (65 t) e il bulldozer corazzato ‘Doobi’ (70 t)”. Tali forniture alle forze armate dello Stato ebraico, targate Leonardo spa, avvengono “almeno dal 2007, quando mise a punto un prototipo adatto alle esigenze dell’esercito insieme a un partner israeliano, la Shladot Metal Works, un’azienda di Haifa che produce soprattutto veicoli militari leggeri e pesanti per le IDF” (The Weapon Watch).
La Rete di Leonardo Logistics
Leonardo Logistics vanta una presenza capillare su tutto il territorio nazionale, che permette una costante ed immediata flessibilità in termini di risposta alle esigenze operative dei Clienti e si traduce in sinergie di sistema e di organizzazione, efficienza e competitività.
I suoi laboratori hanno l’obiettivo di individuare, esplorare e sviluppare soluzioni tecnologiche basate su intelligenza artificiale, digital twin, uncrewed (“senza equipaggio” o “senza pilota”, “automatico” o “automatizzato”, a seconda del contesto. Si può trattare di veicoli o macchinari che non richiedono la presenza di persone per operare, come droni, veicoli sottomarini senza equipaggio – UUV – o di veicoli spaziali senza equipaggio) e robotica, quantum computing e HPC/cloud dedicate alla trasformazione digitale dei servizi logistici, di movimentazione e stoccaggio.
Fondata nel 2002, Leonardo Logistics è oggi partecipata al 100% da Leonardo Global Solutions e svolge i propri servizi di logistica integrata, contribuendo allo sviluppo dei processi produttivi all’interno dei siti Leonardo. Gli stabilimenti di questa azienda ricoprono un ruolo strategico, integrando la logistica degli stabilimenti produttivi in tutta Italia e gestendo un’avanzata rete di trasporti internazionali dedicati via aerea, terrestre e marittima.
La logistica rappresenta per la Rete il fattore determinante per l’integrazione delle attività legate alla produzione di beni e prodotti che coprono gli scenari più complessi, all’interno di una cultura considerata dagli stakeholders “di eccellenza”.
Leonardo Logistics alle porte di Potenza
In via dello Scalo Ferroviario, nell’area industriale di Tito Scalo, alle porte di Potenza, la sede di Leonardo Logistics appare dismessa e defilata. Contrariamente ai principi di trasparenza sbandierati dalla Carta dei Valori della Società, non solo non viene pubblicata on line la sua “mission”, ma la stessa insegna all’ingresso è annerita.
Si sente dire che in quella sede si producono imballaggi che verrebbero per lo più utilizzati per il confezionamento e la spedizione delle merci prodotte dalla dirimpettaia sede di Hitachi Rail STS Spa, (ex Ansaldo STS Spa) fornitore globale di soluzioni ferroviarie che offre una gamma integrata di prodotti quali materiale rotabile, segnalamento, assistenza e manutenzione, tecnologia digitale e soluzioni chiavi in mano.
Al contrario, altri fanno notare che l’unica cosa visibile dello stabilimento titese sono i grossi sacchi che raccoglierebbero materiali di imballaggio.
Nel comunicato di commento all’importanza della vendita di Ex Ansaldo ad Hitachi del 24 febbraio 2015 l’allora Amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica, Mauro Moretti, affermava che: “La vendita del business relativo al trasporto ferroviario rappresenta una tappa importante nella realizzazione del nostro Piano Industriale che mira a focalizzare e rafforzare il Gruppo nel core business hi-tech Aerospaziale, Difesa e Sicurezza. Le operazioni annunciate oggi confermano il nostro impegno nel realizzare gli obiettivi economici e finanziari per ridurre significativamente il debito netto. Hitachi ha espressamente riconosciuto il know-how e l’expertise conferiti da AnsaldoBreda e da Ansaldo STS. Sono sicuro che entrambe le società ricopriranno un ruolo chiave nel futuro sviluppo del business di Hitachi Rail in tutto il mondo, facendo leva sui centri di eccellenza nei sistemi ferroviari e nel trasporto metropolitano”.
Data la comune e diretta radice e la quotidiana frequentazione produttiva logistica, abbiamo motivo di pensare che i rapporti tra le due aziende siano in realtà molto più collaborativi di quanto possa sembrare.
Tanto più che a Tito Scalo, nella stessa strada, adiacente alla sede di Leonardo Logistics, si trovano la ditta Cirigliano Trasporti, specializzata in trasporti nazionali ed internazionali, logistica, deposito e spedizioni intermodali (ferroviarie, marittime e stradali), così come la U.F. Trasporti, che col suo magazzino di 2000 metri quadri si autodefinisce “azienda flessibile, in grado di soddisfare le esigenze distributive dei clienti più esigenti. Si occupa della consegna di diverse tipologie di merci, della fornitura di servizi logistici e di supporto, alla movimentazione e distribuzione delle merci”. Con tutta evidenza, ciò che decenni fa era organicamente unito, oggi è aziendalmente separato, ma flessibilmente funzionale all’occorrenza.
Una sede che sul territorio rappresenta operativamente l’elaborazione e la prestazione di servizi di logistica integrata con e per la più importante azienda a compartecipazione statale, che attualmente realizza l’83% del proprio fatturato nel settore difesa, con quasi solo clienti governativi, ha probabilmente tutto l’interesse a “nascondersi” dietro la foglia di fico di un paventato virtuoso intreccio di ricerca di eccellenza “dual use”, dove i confini tra produzione militare e civile rispondono alla ferrea logica della propaganda e del dominio. Storicamente siamo all’apice della coniugazione indiscussa degli interessi strategici aziendali e militari.
Tra guerra perpetua e potere aziendale la nostra epoca è caratterizzata dalla costruzione dell’impero della paura
Il concetto stesso di guerra è mutato, non limitandosi più alle trincee, alle invasioni di massa. Essa si manifesta in modo costante, diffuso e strutturale. In questo senso, ciò che molti osservatori interpretano come il preludio ad un nuovo grande conflitto, potrebbe, in realtà, essere solo un’altra fase di quella che, dall’era di George W. Bush, è stata definita ” guerra perpetua “, quando, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti ridefinirono la propria politica estera basandosi su nemici diffusi e fronti mobili.
Oggi, a fronte dell’inquietante possibilità di una Terza Guerra Mondiale, nel pieno dei mutamenti degli equilibri di potere finanziari, politici, economici, globali; oggi che una profonda crisi dei tradizionali assetti geopolitici e debitori costringe USA e UE ad adottare una strategia che privilegia il contenimento del “nemico”, l’obiettivo non è conquistare territori, ma impedire ad altri di prenderne il controllo, in un incessante logorio dei contendenti. La guerra moderna è una guerra tridimensionale: militare, mediatica e psicologica.
La dimensione militare incorpora alta tecnologia e grande precisione, mentre la collaborazione del complesso militare-industriale-tecnologico è essenziale. Le grandi aziende multinazionali non sono solo attori economici, ma diventano veri e propri strumenti di guerra.
Esse elaborano e controllano l’informazione, moderano il dibattito pubblico, gestiscono piattaforme di comunicazione, impongono narrazioni. Attraverso la manipolazione di enormi quantità di dati, diventano fonti privilegiate di intelligence, utili sia ai governi che alle imprese. Le grandi aziende tecnologiche forniscono inoltre l’infrastruttura critica che sostiene sia le economie che i sistemi di difesa e la loro leadership nell’intelligenza artificiale, nell’informatica quantistica e nella biotecnologia. Il possesso dell’infrastruttura critica conferisce loro un ruolo di primo piano nel plasmare il potere globale. Non si tratta più di semplici aziende private, ma di attori geopolitici di primo piano.
La sfida agli effetti nefasti dell’integrazione tra comando capitalista e interessi delle aziende a vocazione militare può e deve trovare un freno nell’iniziativa sociale contro la tendenza alla Terza Guerra Mondiale, a partire dal diffuso e potente movimento che sa esprimere contemporaneamente solidarietà al popolo di Palestina e iniziative contro il genocidio perpetrato da Israele col supporto di USA e della maggior parte dei paesi UE.
In tal senso le grandi Aziende come Leonardo, ENI, Maersk, gli stessi apparati dello Stato italiano, dovranno temere le conseguenze di quanto segnalato con formale Atto di Diffida recapitato alle competenti autorità governative italiane lo scorso 21 maggio 2025 da dieci giuristi italiani contro il tacito rinnovo del ventennale Memorandum d’Intesa in materia di cooperazione militare e di difesa sottoscritto da Italia ed Israele.
Solo sotto la pressione convergente di azione giudiziaria ed iniziativa sociale, anche nella nostra Regione l’iniziativa dal basso potrà contribuire a squarciare il velo di interessi indicibili e non dichiarati che spesso si annidano nell’azione amministrativa quotidiana, produttiva, finanziaria, di ricerca, accrescendo al contempo la percezione e la visibilità di una sensibilità popolare che attraverso le mobilitazioni locali e nazionali sta contribuendo a restituire consistenza ai valori di solidarietà e civiltà umana.
In linea con quanto denunzia la Relatrice speciale ONU per i territori palestinesi occupati Francesca Albanese, a cui va la nostra più piena e partecipata solidarietà dopo gli attacchi ed i vergognosi veti imposti dall’amministrazione Trump, il motore della solidarietà e della lotta contro i molteplici e cinici interessi dell’economia del genocidio vive nelle iniziative della gente comune. Perché il silenzio non sia indifferenza, perché il silenzio, oggi, è oggettivamente connivenza.

