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Irene Pivetti (Italia Madre): “PIL A -0,1. Se squadra che vince non si cambia, con la squadra che perde che si fa?”

Irene Pivetti (Presidente di Italia Madre): “PIL A -0,1. Se squadra che vince non si cambia, con la squadra che perde che si fa?”. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.

Vent’anni di politiche economiche sbagliate hanno portato con sicurezza l’Italia alla decrescita: dopo aver perso quote di mercato, peso politico e credibilità, l’Italia delle misure repressive contro le imprese che vogliono crescere e rischiare, del rigore talebano contro ogni tentativo di flessibilità fiscale, dell’ipocrita condanna di qualsiasi difesa dello spazio economico nazionale, quell’Italia affoga nello spread e decresce dello 0.1 , mentre tutta l’Europa, dopo la crisi, ha ormai ripreso a correre.

C’è da chiedersi cosa si aspetti a fare un falò di tante restrizioni pseudo-europee alla finanza pubblica, di tanti freni agli investimenti, ed a buttare alle ortiche tutti i Basilea, i Lisbona, e persino i Maastricht, intesi come trattati europei pietre miliari della nostra perdita di sovranità. È ora di finirla d’essere sudditi in casa nostra, succubi di una Europa che abbiamo fondato e voluto dall’inizio, ma non così.

È venuto il momento di difendere il nostro spazio e la nostra libertà, di riprendere in mano il nostro destino, e decidere quando e se adottare norme decise altrove, inutili se non dannose. L’Italia vuole uscire da questa penosa condizione di serva di interessi altrui, e riprendersi il ruolo di protagonista, in Europa e nel Mediterraneo, riaffermare il suo diritto a crescere, senza dovere per forza rendere conto del come.

E già che ci siamo, è ora di finirla con questi primi della classe, tedeschi e francesi, pronti a sputare sentenze contro l’Italia quanto a nascondere le proprie magagne finanziarie e sociali, grazie all’occhio strabico della Commissione, che giudica gli stati membri con due pesi e due misure.

Italiani, Italiane, facciamo saltare questo banco con le carte truccate, e riscriviamo le regole per il nostro sviluppo, mettendo con decisione al primo posto l’economia produttiva. E se a qualcuno tutto questo non piace, se ne dovrà pur fare una ragione”.