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Franco Vespe su rapimento Aldo Moro, 35 anni dopo

Franco Vespe ha inviato una nota per esprimere le sue riflessioni politiche nei giorni in cui si celebra l’anniversario del rapimento di Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo di 35 anni fa. Di seguito la nota integrale

In questi giorni ricorre l’anniversario del rapimento di Aldo Moro avvenuto esattamente 35 anni fa. Quel giorno (16 marzo) lo ricordo benissimo perché fu il mio primo (ed ultimo) giorno di filone a scuola. La notizia mi raggiunse in biblioteca e subito corsi al cinema Comunale (a quel tempo si chiamava Impero) dove si radunarono partiti e popolo materano per discutere del gravissimo evento in cui persero la vita i 5 uomini della scorta. Fu una perdita gravissima per la democrazia italiana perché le Brigate Rosse colpirono uno dei più acuti e sensibili politici della I Repubblica che avrebbe potuto tanto insegnare a quelli della II e, perché no, anche a quelli della terza. Moro fu il politico che agli inizi degli anni 60 spalancò le porte del governo al Partito Socialista e che, proprio in quei giorni che precedettero il suo rapimento, aveva lavorato con successo al compromesso storico che stava aprendo le porte del governo ai Comunisti. Era un politico che infaticabilmente  cercava punti comuni e di equilibrio sia con gli alleati che con gli avversari. Era uomo che interpretava la politica come  raffinata arte della mediazione fra interessi privati e corti e la ricerca e l’affermazione del bene comune. Un modo di intendere la politica che era si di Moro, ma una delle cifre politiche più qualificanti  del Cattolicesimo Democratico rappresentato in Italia dalla “famigerata” DC e dal Partito Popolare Sturziano. Peccato che persino gli stessi cattolici italiani si vergognano oggi di questa storia che pur annovera fra le sue pieghe figure grandiose di santità! Una cultura della mediazione totalmente estranea alla II repubblica che è stata la stagione invece della disinvolta autorappresentazione nelle istituzioni degli interessi privati spesso in conflitto con quelli pubblici. Un modo di intendere la politica –di fatto una versione degradata e casereccia del “laissez faire” liberista- che rende di fatto inessenziale la fatica della  mediazione politica! La prossima  repubblica invece si prospetta non meno problematica. M5S di Grillo ed il suo “Rasputin” capellone alias Casaleggio, sta portando avanti un modello di democrazia anch’esso controverso. Facendosi forza sulla conoscenza (?) dei nuovi mezzi di comunicazioni di massa (pare che li abbiano inventati loro!), li ritengono così potenti tanto da fargli credere che sono maturi i tempi per passare da una democrazia rappresentativa a quella diretta.  In verità la democrazia rappresentativa non è stata istituita perché era impossibile tecnicamente istituire quella diretta, ma per delle ragioni ben più profonde. Per prendere delle decisioni politiche in una società complessa occorre anche avere delle competenze tecniche, ideologiche ed istituzionali che  non si può pretendere che ogni cittadino abbia. Una democrazia rappresentativa ha bisogno di una élite culturale che possieda quelle competenze necessarie per poter sviluppare soluzioni e programmi in modo meditato e responsabile. Queste élites politiche spetta ai partiti formarle, ma devono essere impastate con degli ingredienti irrinunciabili senza dei quali si rischia un drammatico scollamento  con il paese. Queste elites devono avere come pre-requisito, al di là della competenza tecnica, una tensione etica robusta e essere sinceramente appassionati del bene comune. Le elites devono  possedere  quella  tensione educativa nei confronti del  popolo al quale va spiegato in modo infaticabile  la complessità dei problemi e delle soluzioni da adottare e, a loro volta, devono essere disposte a ricevere ritorni da esso cogliendo il meglio di quello che la società civile sa esprimere. In questo gioco dialettico fra popolo ed elites le strategie della  comunicazione devono svolgere un ruolo di supporto collaterale, altrimenti si darebbe troppo peso alle truffe affabulatorie dei “venditori di saponette” come oggi invece ahimè accade!  Oggi sopportiamo elites che appiattiscono la loro proposta politica sul valor medio o, quel che è peggio, sui desideri non educati che il  popolo esprime come fa il sondaggismo. In questo modo le elites ed i partiti sono diventate una detestabile brutta copia della società che vogliono rappresentare. Un esempio per tutti è la percentuale di indagati e condannati in parlamento. Se ci fosse la stessa percentuale nella società dovremmo avere in carcere milioni di Italiani! Altro che specchio! La necessità di far si che le proposte siano sottoposte a passaggi democratici diretti ed informali che raccolgano consensi coinvolgendo i segmenti “intelligenti” della società civile, è un’altra condizione da esigere. Infine devono avere la capacità di indicare un’utopia verso la quale indirizzare “biblicamente”  il percorso di un popolo. Mi rendo conto che questo è requisito esigente e lo si può ritenere oggi solo un optional di lusso! Pertanto la mediazione dei partiti è imprescindibile per una sana democrazia a patto che forniscano  una classe dirigente politica,  programmi, siano popolari e svolgano un ruolo educante. Erano questi i cardini sui quali si poggiava l’azione politica di Moro. Nella  II Repubblica come dicevamo gli interessi invece di essere educati  si sono auto-rappresentati. Nella III repubblica c’è un passo ulteriore che viene compiuto in direzione di una democrazia diretta che crede di poter fare a meno della mediazione dei partiti. Che si sappia: nella storia questa idiosincrasia per i partiti democratici ha portato a terribili e sanguinarie dittature! Noi abbiamo bisogno di buoni partiti, non di  cancellarli!! Ne va della nostra democrazia!  

Francesco Vespe